Al Papardo innovazioni nel trattamento del carcinoma della vescica

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L’iter diagnostico e terapeutico del paziente oncologico affetto da carcinoma vescicale è stato oggetto di dibattito da parte di numerosi relatori e specialisti intervenuti al Convegno organizzato dalla Struttura Complessa di Urologia del Papardo, il cui direttore Francesco Mastroeni, in apertura dei lavori,  ha sottolineato come il trattamento della neoplasia vescicale deve essere multidisciplinare“iniziando da una prima diagnosi che viene eseguita dal Medico di Medicina Generale, dal Radiologo per l’esecuzione dell’iter diagnostico per poi finire nel trattamento che deve essere integrato fra chirurgico radioterapico o oncologico medico”.

Di fatto, la cistectomia radicale rappresenta ancora oggi il trattamento di scelta nei casi di neoplasia vescicale localmente avanzata o nei casi di neoplasia vescicale superficiale ad alto grado e stadio, multifocale o altamente recidiva. Migliorare la qualità di vita dei pazienti cistectomizzati particolarmente se a lunga spettanza oncologica di vita , ha costituito l’obiettivo imperativo degli ultimi anni. In questa ottica sia le derivazioni urinarie incontinenti che la ureterosigmoidostomia, non possono essere considerate più lo standard dopo intervento di cistectomia radicale, anche se rivestono in casi ben selezionati una loro importanza.

Le derivazioni urinarie continenti, rappresentano quanto di meglio possa essere proposto al paziente candidato alla cistectomia radicale in termine di qualità di vita, questo tipo di derivazioni presuppongono l’esistenza di un reservoir intestinale, di una anastomosi uretero-intestinale con o senza meccanismo antireflusso e, se presente uno stoma intestinale che sia facilmente cateterizzabile e continente. Quest’ultimo caso è particolarmente indicato nelle donne affette da neoplasia vescicale che necessitano di intervento demolitivi; infatti le derivazioni urinarie continenti ortotopiche nei pazienti di sesso femminile presentano delle percentuali di continenza diurna e notturna molto basse con una qualità di vita improponibile.

Il vantaggio specifico della ricostruzione vescicale ortotopica, (ovvero nella sede naturale) è la preservazione della minzione naturale attraverso l’uretra. Non sono necessari dispositivi esterni di raccolta, l’immagine corporea non è mortificata dalla presenza di uno stoma ed i pazienti godono di una migliore qualità di vita. Un ruolo importante è quello della gestione infermieristica che prevede dei procedimenti pre e post operatori.

Nel sesso femminile la continenza in derivazioni continenti ortotopiche è presente in percentuali notevolmente inferiori rispetto al sesso maschile, questa situazione è dovuta alla costituzione sfinteriale di base che è presente nella donna. Per tale motivo nelle donne si è portati alla ricostruzione di reservoir continenti eterotopici con varie metodiche di continenza. Negli ultimi anni, l’impiego dell’appendice ha preso notevolmente piede, in particolare per disporre di una neouretra cateterizzabile nel contesto di un serbatoio urinario continente. L’appendice viene anastomizzata da una parte al reservoir e dall’altra alla cute della parete addominale o a livello dell’ombellico. Tale tecnica prende il nome del chirurgo russo Mitrofanoff che nel 1980 descrisse l’uso dell’appendice per una vescicostomia continente. Quando non può essere utilizzata l’appendice si può fare ricorso all’uso di un breve tratto di ileo che viene detubularizzato e rimodellato (tecnica di Monti).

“Presso la nostra Unità Operativa,- conclude Mastroeni -, vengono utilizzate entrambe le tecniche, inoltre preferiamo eseguire una tecnica particolare con tunnellizzazione della neouretra al di sotto della fascia dei muscoli retti per aumentare la percentuale di continenza, una tecnica, questa, che ci ha dato grandi soddisfazioni, con percentuali di continenza diurna del 100% e notturna del 95%.  Relatori, tra gli altri, gli specialisti Santacaterina, Picciotto ed Arceri”.

 

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