Si è concluso con 25 anni di condanna per ciascun imputato, il processo in Corte d’Assise di Messina che vedeva alla sbarra i tre tunisini e i due palestinesi che furono arrestati dopo la strage di migranti avvenuta nelle acque dello Stretto nel luglio 2014.
Erano partiti da un punto della costa libica, a pochi chilometri da Tripoli, il 17 luglio di 2 anni fa. Erano 700 alla partenza, toccarono terra, vivi, in 561, il 20 luglio. Circa 150 morirono durante il viaggio. Ammazzati o per le disumane condizioni di viaggio.
I racconti agghiaccianti dei superstiti consentirono alla Squadra Mobile di arrestare 5 cittadini extracomunitari, per il reato di concorso in omicidio plurimo aggravato.
I 5 scafisti avrebbero – secondo l’accusa – commesso atrocità inenarrabili.
Su quel cargo maledetto partito dalla Libia 6 giorni prima, trovarono posto sul ponte superiore soltanto i più danarosi. Arabi, prevalentemente, avvocati, ingegneri, professionisti in genere capaci di sborsare dai 1000 ai 2000 dollari per una collocazione migliore. Gli altri, africani, che al massimo pagavano cifre variabili tra i 200 e i 500 dollari, sono stati rinchiusi nella stiva, dove il rumore dei motori, le esalazioni da monossido di carbonio, il caldo opprimente, se non li uccideva li stremava. E loro hanno tentato la risalita, ma sopra la botola che li separava dai “fortunati” che viaggiavano all’aria aperta, in molti non hanno voluto questa “invasione di campo”. Gli scafisti, con il sostegno dei migranti che occupavano il ponte superiore di diritto, li hanno ricacciati indietro, e i più ribelli – secondo il racconto dei superstiti – sono stati accoltellati e buttati in mare.
Così, chi non è morto di stenti è morto assassinato. Raggiunte le acque maltesi, le Autorità del posto hanno chiesto soccorso ad una nave petroliera, che di fronte a quello scenario, con tumulti in atto sul cargo, ha, a sua volta, chiesto il supporto alla Marina italiana. Durante le operazioni di trasbordo, molti da una nave all’altra – sempre secondo il racconto dei sopravvissuti- alcuni migranti sarebbero stati lanciati in mare. Tra questi il bimbo di quattro anni giunto morto a Messina. Terribile il racconto della madre, che ha visto il figlio annaspare tra le onde.
Le dichiarazioni, raccolte tempestivamente dalla polizia all’arrivo al porto di Messina, hanno consentito la cattura dei primi 3 scafisti alla stazione di Messina, dove stavano per salire su un pullman che li avrebbe condotti a Milano.
Le testimonianze tra chi su quel barcone c’era e ce l’ha fatta concordarono sulle modalità con cui decine di profughi furono ammassate all’interno della stiva del barcone e chiuse dentro.
Era stata tolta la scala interna e chiusa la porta dall’esterno, eliminando così l’unica presa d’aria alla stiva. In pochi minuti il calore era diventato insopportabile e l’aria irrespirabile a causa dei gas di scarico del motore. La disperazione aveva spinto quindi i prigionieri a forzare la porta e salire in coperta dove si consumò la tragedia.
In tanti raccontarono che i cinque scafisti, scegliendo a caso le vittime già in coperta o emerse dalla stiva, uomini o donne che fossero, uccisero circa 60 persone, poi buttate in mare.
I sopravissuti videro i corpi di connazionali, amici e parenti, accoltellati o storditi a mani nude, scomparire in mare. Impotenti perchè minacciati a non muoversi, pena la stessa sorte.
Due anni dopo, la sentenza: 25 anni di carcere a testa.
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