Siamo gente strana noi messinesi. Di indole serafica, ma passionali di sentimenti. Essenzialmente ci scivola tutto addosso e non ce ne frega niente dell’intero creato, ma se un evento o una persona si presenta come qualcosa di controverso, in grado di risvegliare il nostro lento moto del flusso sanguigno, allora sì che ci schieriamo, senza mezze misure. O si odia, o si ama. O entrambi, con cambi repentini di schieramenti. Qualcuno potrebbe pensare ai politicanti cittadini, alcuni dei quali sono passati da fiamme ardenti e saluti romani al pugno chiuso e bandiere rosso-sbiadito, dal no ponte al sì ponte, passando per il forse ponte – ora vediamo, te lo faccio sapere in settimana – , da gruppi consiliari opposti, in base al posizionamento della sede rispetto al bar o alla toilette. In realtà i nostri rappresentanti altro non sono che il nostro riflesso. Suvvia, ammettiamolo: del detto “solo i cretini non cambiano idea” ne facciamo una bandiera. Della pace magari.
Sono trascorsi appena otto mesi da quel tardo pomeriggio di fine giugno. Non sembrava l’elezione di un sindaco, ma la presa della Bastiglia in versione pacifista. La fine di una guerra, una vittoria al superenalotto collettiva, la finale di champions, ecco cos’era. Caroselli di auto, corse a perdifiato per le vie della città, abbracci commossi, cori da stadio, fotografie, zucchero filato e palloncini, facevano da cornice all’avvento: un attonito, emozionato, sudato professore di educazione fisica veniva accolto come nuovo Messia.
Il giorno dopo e quelli a seguire la città si è svegliata con un inusuale buon umore, una strana voglia di partecipazione, un senso profondo di responsabilità. Per un mese circa da quel giorno, tutti noi, anche solo una volta, abbiamo gettato la carta negli appositi cassonetti, spolverato la vecchia bici sepolta in cantina, accarezzato l’idea di acquistare dei sandali. Le strade sembravano già più belle, il sole più fulgido, gli uccelli più felici, il traffico più scorrevole, gli impiegati comunali più efficienti, i vigili urbani più eleganti: tutto per il solo fatto che il nuovo sindaco fosse Renato. Un santone che con il solo indossare la fascia tricolore, cambiava già la città.
Ho visto donne e uomini toccare un lembo della sua maglia arancione per ricevere una grazia, abbracciarlo in mezzo alla strada, come se fosse stato appena rilasciato dall’anonima sequestri, inforcare la bicicletta e seguirlo, rischiando la vita in mezzo ai SUV che popolano le nostre vie. Ogni cittadino ha vantato una qualche forma di rapporto col neo sindaco: l’ex alunno che ha vinto il sovrappeso grazie ai suoi consigli, il vecchietto che scoppiava il pallone quando il piccolo pacifista giocava in cortile alle tre del pomeriggio, il titolare della serigrafia che ha stampato il suo intero guardaroba, il macellaio che lo pregava di abbandonare il credo vegetariano per mezzo chilo di macinato di primo taglio, fresco fresco.
Cosa è successo da allora? Solo una presa di coscienza che Renato è il sindaco, mica Mago Merlino. Che la cosa pubblica è una gran brutta rogna. Che per governare una città bisogna essere spesso impopolari. Gli aficionados restano in stato di estasi, ché se anche il sindaco dovesse imporre il coprifuoco, o utilizzare la cittadella fieristica per costruire dei lager, accoglierebbero le iniziative come inequivocabili segni di un processo di civilizzazione. Ma noi, popolo messinese siamo di ben altra pasta. Se ci chiedono sacrifici, se ci imboccano a forza dei cambiamenti, se la nostra qualità della vita è sempre la stessa, se non peggiore, con qualcuno dobbiamo pur prendercela.
Non stupiamoci se, inviperiti dalla Tares, tentiamo di sfondare i cancelli del Comune cercando il sindaco. Stupiamoci semmai del fatto che lo facciamo di domenica mattina. Non stupiamoci se nascono petizioni per abolire l’isola pedonale, ché non ci si può più prendere un caffè da Santoro dopo pranzo, con i minuti contati. Non stupiamoci neanche se dai nostri SUV, appena vediamo un buontempone in bicicletta ci viene voglia di dargli una sportellata e farlo rovinare per terra. Non stupiamoci se improvvisamente ci rendiamo conto dell’importanza di un doppiopetto fumo di Londra in sedi istituzionali, ché siamo gente elegante noi. Non stupiamoci se dei volatili fotofobici non ce ne importa un bel niente. Non stupiamoci neanche se siamo più preoccupati dei nostri piccoli dissesti individuali che di quello collettivo. Renato non avrà la bacchetta magica, ma del resto noi alle favole non ci abbiamo mai creduto.
Giusy Pitrone
(103)