Migranti. Sequestro di persona, tratta di essere umani e tortura: 3 fermi a Messina

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Sequestro di persona, tratta di esseri umani e tortura. Per questi reati la Dda di Palermo ha disposto il fermo di 3 persone che si trovavano nell’hot-spot di Messina. Si tratta di Mohammed Conde’, originario della Guinea, 27 anni, Hameda Ahmed, egiziano, 26 anni e Mahmoud Ashuia, egiziano, 24 anni.  Avrebbero trattenuto in un campo di prigionia libico decine di profughi pronti a partire per l’Italia, infliggendo loro violenze e torture.

Agghiaccianti i racconti delle vittime, subite nei campi di detenzione in Libia, che hanno parlato di “Sistematiche percosse con bastoni, calci di fucili, tubi di gomma, frustate e somministrazione di scariche elettriche“, ma anche “ripetute minacce gravi” poste in essere “con l’uso delle armi o picchiando brutalmente altri migranti quale gesto dimostrativo“, “accompagnate dalla mancata fornitura di beni di prima necessità, quali l’acqua potabile, e di cure mediche per le malattie lì contratte o le gravi lesioni riportate in stato di prigionia- acute sofferenze fisiche e traumi psichici e un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona”.

“La situazione veniva aggravata dal sistematico compimento, ad opera dei sodali, di continue e atroci violenze fisiche o sessuali, fino a giungere alla perpetrazione di veri e propri atti di tortura, talora culminate in omicidi, e ciò al fine di costringere i familiari dei migranti a versare all’associazione somme di denaro quali prezzo per la loro liberazione”, scrivono i pm. “Essendo questa la finalità primaria dell’associazione, cioè sequestrare e seviziare allo scopo di ottenere somme di denaro per far cessare lo stato di prigionia e le relative sevizie, l’organizzazione si era dotata di un apposito “telefono di servizio”, tramite cui i migranti prigionieri potevano contattare i loro congiunti, ovviamente alla presenza dei carcerieri, e così indurli a pagare il riscatto in somme di denaro per porre fine alla detenzione e alle atrocità subite spesso documentate tramite l’invio di fotografie”, raccontano i magistrati nel provvedimento di fermo.

 

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