C’è ancora molto da dire sull’omicidio del, giornalista del quotidiano “La Sicilia, Beppe Alfano, assassinato a colpi di pistola la sera del 9 gennaio 1993 in via Marconi, a Barcellona. Il boss pentito Carmelo D’Amico, considerato a capo degli “esecutori” di Cosa Nostra barcellonese, reggente della falange milazzese, aggiunge nuovi particolari a quanto già anticipato lo scorso luglio sul delitto per il quale è stato condannato a 30 anni di carcere l’autotrasportatore Antonino Merlino, che avrebbe agito su mandato del boss barcellonese Giuseppe Gullotti, ritenuto capo acclarato della “famiglia” del Longano.
Carmelo D’Amico parla ai tre magistrati della DDA messinese, i sostituti procuratori Giuseppe Verzera, Vito Di Giorgio e Angelo Cavallo. Parla e ribalta “certezze” raggiunte dopo anni di indagini e sentenze. Il pentito, infatti, avrebbe rivelato che il sicario che quella sera di 21 anni fa crivellò di proiettili Beppe Alfano non era Antonino Merlino ma un’altra persona.
L’omicidio Alfano rimane ancora oggi una vicenda oscura, troppe le ombre su un delitto le cui indagini convergono con quelle della DDA di Palermo, impegnata nel processo doc della trattativa Stato-Mafia. Il processo in cui l’avvocato barcellonese Rosario Cattafi – dai pentiti descritto come il trait d’union tra Cosa Nostra palermitana e la città del Longano, ma anche come la “vera mente” del crimine organizzato di Barcellona – avrebbe molto da dire ai magistrati.
Palermo ma non solo. Le rivelazioni del pentito D’Amico, infatti, collocherebbero inoltre Barcellona come crocevia degli interessi della mafia catanese e palermitana.
Il fascicolo “Alfano ter”, dunque, aperto sulla scrivania del sostituto della Dda Vito Di Giorgio, promette di arricchirsi di nuove pagine.
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