C’è un altro Stato in Sicilia, uno che si contrappone a quello istituzionale: è la mafia di Barcellona Pozzo di Gotto. Ha tutto il potere di uno Stato interventista, quella organizzazione strutturata in scala gerarchica, con un capo e vari sottocapi; che ascolta le lamentele dei cittadini, da’ loro ‘sodddisfazione’, punisce i trasgressori. Ma è uno Stato in cui vige la pena di morte. Nessuna pietà per chi sgarra o si presume abbia sgarrato: accertata o meno la colpa, basta il sospetto perchè si proceda all’esecuzione. Con ferocia estrema.
Lo dice l’ordinanza della operazione Gotha 6, scattata oggi ad opera dei carabinieri. Lo dice un magistrato che di mafia se ne intende, il procuratore capo di Messina, Guido Lo Forte.
“La ‘famiglia’ dei barcellonesi – ha detto Lo Forte – ha funzioni di giustizia. Una giustizia interna, che colpisce chi, anche se affiliato, non osserva le regole dell’organizzazione, chi si sottrae all’ordine costituito; una giustizia esterna, destinata agli ‘altri’.
E’ raro- ha aggiunto il procuratore capo di Messina – trovare in Sicilia una organizzazione così consolidata, perdurante nel tempo, gerarchica e totalitaria. Negli anni abbiamo avuto quella palermitana, quella di Caltanissetta, oggi non ne vedo altre di tale forza come quella del messinese”.
Poi, la descrizione delle funzioni di Giustizia esercitate dalla ‘famiglia’. La descrizione di come, molti impreditori, vittime di estorsioni, usura, invece di rivolgersi alle forze di polizia per sottrarsi al giogo, si rivolgessero al capo o al sottocapo, comunque a chi, nella scala del crimine, era su un gradino superiore a colui che lo vessava.
E poi il ruolo dello storico boss, Giuseppe Gullotti, da anni al 41 bis ( il carcere duro). Uno che non aveva paura di ‘sporcarsi le mani’. Lo Forte ha detto che proprio il capo dei capi di Barcellona sarebbe personalmente intervenuto, nel luglio ’93, nei confronti di Domenico Pelleriti, un pesce piccolo, sospettato di una serie di furti ‘non autorizzati’ dal clan. Uno dei derubati si rivolse al boss per avere ‘giustizia’. Gullotti- secondo quanto accertato dagli investigatori dell’Arma – lo avrebbe dapprima torturato, poi, dopo un’ultima sigaretta offerta al condannato a morte, ne avrebbe ordinato l’esecuzione.
Ed ancora, quell’omicidio eccellente, quello di un giornalista scomodo, uno che minacciava gli interessi della ‘famiglia’: Beppe Alfano, ucciso su mandato di Gullotti. Non hanno ancora un nome gli esecutori.
E altri delitti efferati, tanti, troppi da non rientrare nell’odierna operazione, di difficile lettura, ad oggi, per potervi far luce.
Ma le indagini non si fermano, perchè Barcellona, la sua organizzazione, con l’indiscusso capo in carcere al 41 bis, con i suoi sottocapi da tempo sottochiave, continua a fare tremare.
A Barcellona c’è un altro Stato, uno in cui vige la pena di morte.
Patrizia Vita
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