Sulla volontà di togliersi la vita non ci sarebbero dubbi. Sulla fortuna, o miracolo per i più credenti, nessun dubbio. L’avvocato Salvatore Vadalà, precipitato ieri dal terzo piano di uno stabile di via Giordano Bruno, dove ha sede il suo studio, ha riportato soltanto la rottura di un femore e una ferita sulla fronte. L’incredibile è avvenuto: un volo di circa 12 metri non si è concluso con la morte. L’interrogativo di molti che lo conoscevano è: perchè quel gesto?
Salvatore Vadalà ieri sera voleva uccidersi. Come interpretare diversamente, infatti, il blocco della porta di ingresso del suo studio? Quel divano, quelle sedie poste dietro la porta per evitare che qualcuno potesse entrare e impedirgli di compiere il volo, parlano chiaro. Del resto, fonti vicine sostengono che c’era anche uno stato depressivo che l’avvocato Vadalà si trascinava da tempo. Apparentemente la sua vita scorreva regolarmente, diviso tra la sua professione e la famiglia: è sposato con una collega ed ha un figlio. In passato ha avuto qualche vicenda giudiziaria nella quale è rimasto coinvolto, ma nulla di talmente da grave da lasciare presagire la scelta di ieri di lanciarsi nel vuoto. Il maresciallo della stazione dei carabinieri di Messina Arcivescovado, Gaetano Ilacqua, occorso in via Giordano Bruno pochi minuti dopo l’accaduto, ha detto di averlo visto qualche ora prima per discutere alcune questioni di lavoro: nessun segnale, da parte dell’avvocato Vadalà, della scelta imminente.
Quando è stato soccorso, dopo essersi schiantato sul tetto di una Fiat 500, sembrava fosse morto. Invece, miracolosamente, si è salvato. Salvatore Vadalà ha riportato la frattura di un femore e una larga ferita sulla fronte. Precauzionalmente è ancora in prognosi riservata.
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