E’ morto, in ospedale a Catanzaro, Michele Rotella, 76 anni, detto il ‘barone’, condannato alla pena di 8 anni, per concorso esterno in associazione mafiosa, nell’ambito del processo scaturito dall’operazione antiomafia Vivaio. Rotella scontava la sua pena al carcere di Catanzaro. Nel 2014 gli erano stati sequestrati beni per circa 80 milioni di euro. Sulle circostanze della sua morte, l’avvocato Nino Favazzo, che lo difendeva, ha scritto la seguente nota:
“La scorsa notte, all’interno della U.O. di rianimazione della Azienda Ospedaliera “Pugliese – Ciaccio” di Catanzaro è deceduto Michele Rotella. Il ricovero ospedaliero era avvenuto il 23 febbraio. Rotella, detenuto dal 27 dicembre 2015 nella Casa Circondariale di Catanzaro, a quanto è dato sapere, da circa una settimana aveva accusato sintomi da enterite, ma il quadro clinico, evidentemente sottovalutato, si era rapidamente aggravato. Il certificato di ricovero reca la data del 23 febbraio ed una diagnosi di ingresso di paziente in stato di shock multiorgano, con enterite da clostridium difficilis ed una prognosi di imminente pericolo di vita. Alle ore 1,00 circa del 26 febbraio, il decesso.
“Continuo a chiedermi se questa morte assurda poteva essere evitata e continuo a trovare una sola risposta: non solo poteva, ma doveva essere evitata. Senza entrare nel merito di un giudicato di condanna che non ho mai condiviso, è certo che esistevano tutte le condizioni di legge per consentire a Michele Rotella di espiare la pena residua in regime di detenzione domiciliare, se non addirittura di affidamento in prova ai servizi sociali. Ed in tal senso mi sono speso – inascoltato – fin dal giorno in cui la sentenza di condanna è divenuta definitiva. La macchina giudiziaria si è messa subito in moto, ma sono state chieste le informazioni di rito agli interlocutori sbagliati, che, a loro volta, hanno fornito risposte parziali e non aggiornate, salvo rettificarle in positivo troppo tardi, quando ormai il destino di Michele Rotella si era compiuto. Come posso dimenticare che, solo qualche giorno fa, il Tribunale di Sorveglianza non ha potuto decidere sulla scarcerazione perché una delle numerose relazioni richieste non era ancora giunta. Come faccio a non pensare che la vittima di un sistema troppo farraginoso si sarebbe salvata, se la sua scarcerazione fosse stata disposta appena una settimana fa. Come posso non chiedermi se l’epilogo sarebbe stato lo stesso se il detenuto Rotella, che si avviava a compiere settantasei anni di età, non fosse stato trasferito da Messina in un carcere che non ha mai brillato per efficienza di servizi ed all’interno del quale sono state segnalate, anche nel recente passato, gravi carenze igieniche. Che risposta posso dare ai familiari che mi chiedono come è ancora possibile, nel 2016, contrarre una infezione intestinale all’interno di una struttura carceraria e non essere curati con la dovuta tempestività, per essere poi avviati ad un istituto di cura esterno solo quando, con molta probabilità, nulla poteva più esser fatto. O ancora se è accettabile essere avvisati delle condizioni di salute del proprio congiunto, solo a distanza di due giorni dal ricovero ospedaliero, quando ormai lo stato di coma era divenuto irreversibile. Questi ed altri interrogativi mi torneranno alla mente nei giorni a venire, ma so già che resteranno tutti senza risposta, accentuando quella profonda amarezza che già mi porto dentro.
Nè mi è di sollievo la consapevolezza che spettava ad altri evitare una tragedia che doveva essere evitata.”
(1761)