“Giustizia giusta”, Rita Bernardini visita il carcere di Gazzi

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Questa mattina, l’ex deputato del Partito Radicale Rita Bernardini ha svolto una visita ispettiva al carcere di Gazzi. Un sopralluogo che fa parte del programma della campagna “Giustizia Giusta”, che vuole concentrare l’attenzione del popolo italiano e sensibilizzarlo sulla questione dei diritti umani e civili all’interno dei penitenziari. Prima di iniziare l’ispezione, il rappresentante dei Radicali ha incontrato i giornalisti per spiegare l’importanza della campagna e i passi avanti fatti finora.

Non è la prima volta che Rita Bernardini visita l’istituto detentivo di Messina. “Siamo stati qui, intanto, per la sentenza Torreggiani’ quella che ha condannato lo Stato italiano per la violazione dei diritti umani, e anche dopo – ha spiegato Bernardini -. Le cose sono sicuramente migliorate, ma il problema di fondo, di un carcere illegale che non rispetta i diritti umani fondamentali, ancora persisteva, almeno fino a poco tempo fa. Non credo che le cose siano cambiate molto. Siamo qui appunto per verificare.”

“L’ultima volta che l’ho visitato era il febbraio 2013  il carcere di Messina era annoverabile sicuramente tra gli istituti peggiori – continua l’ex deputato radicale – Addirittura c’erano i letti a castello a sette piani. Ne feci anche oggetto di un mio intervento al Parlamento. All’epoca, costringevano una persona disabile, in carrozzella, a strisciare per terra per poter andare in bagno. La cosa positiva è che questa zona, detta Sosta, sembra non ci sia più, che sia stata ristrutturata. In questo posto, una volta, se qualcuno dei detenuti stava male, le infermiere che arrivavano dovevano fare loro le iniezioni attraverso le sbarre. Sempre lì, cercavano di ripararsi dall’ingresso dei topi bloccando le fessure con dei cartoni. Ed era tale il sovraffollamento che un padre e un figlio dormivano nella stessa brandina. In pratica, condizioni più che degradanti. Mi piacerebbe sapere quanti hanno avuto il risarcimento danni.”

Purtroppo, il risarcimento non lo danno a tutti, neppure a chi ha dovuto subire queste condizioni “inumane” ingiustamente. Come Roberto Trifiletti, vittima di malagiustizia (5 anni di carcere con l’accusa di omicidio, assolto dopo 10 anni dal primo arresto), che accompagna i rappresentanti Pr e sostiene la loro campagna.

“Non riesco a trovare lavoro, ho tre figli a carico e una moglie invalida al 100% – ha dichiarato Trifiletti – ed io con chi posso prendermela, con la Magistratura? No, con il popolo italiano: è a nome del popolo italiano che sono stato condannato, sia la prima che la seconda volta, per qualcosa che non ho mai fatto.”

È proprio questa la tragedia:  oltre ai detenuti, a dover scontare la pena sono anche le loro famiglie, le cosiddette “vittime collaterali” della giustizia. Alcune riescono a stare accanto ai loro cari in prigione; altre, invece, non ce la fanno e lasciano i carcerati da soli, a dover affrontare l’ignobile vita “in gabbia”. Molti, addirittura, percorrono centinaia di chilometri per poter incontrare i parenti in carcere. Come una signora di Palermo, che ha fatto la fila tutta la mattina, davanti all’ingresso laterale dell’istituto, solo per informarsi se oggi avrebbe potuto vedere il marito.

“Inizialmente – ha continuato Trifiletti – mi avevano messo in isolamento per convincermi a collaborare. Ho vissuto delle cose orribili e, sicuramente, i soldi non mi ridaranno quegli anni; lo faccio solo per la mia famiglia. Sono convinto che la giustizia non funzioni, in Italia, e soprattutto a Messina, e che in carcere ci siano altre persone detenute ingiustamente.”

Infine, prima di essere accompagnata all’interno della Casa Circondariale di Gazzi, Rita Bernardini ha rivolto un’ultima considerazione  alla magistratura.  “È vero che c’è carenza di personale. Ma è anche vero che è difficile trovare un magistrato di sorveglianza. Io ne ho trovati pochissimi in Italia che svolgono il loro dovere: per esempio quello richiamato dall’ordinamento penitenziario che li obbligherebbe a fare quello che sto facendo io, visitare frequentemente le celle di detenzione. Non ci vanno mai. Ed io dico che, se avessero fatto il loro dovere, non saremmo arrivati all’umiliazione della sentenza ‘Torreggiani’, ossia della condanna di un Paese per la violazione dell’articolo 3, cioè ‘trattamenti inumani e degradanti’. Avrebbero potuto prevenirlo e, invece, hanno fatto finta di niente. Se i magistrati incontrano i detenuti, lo fanno solo in videoconferenza.”

Simona Strani

 

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