Messina “culla della Nuova Destra”, che vuole il Ponte

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ponte stretto bella bella nuovoNel giugno 1955, la conferenza di Messina getta le basi per la nascita dell’attuale Unione europea. A quasi 61 anni di distanza, la città dello Stretto si prefigge altri due ambiziosi obiettivi: erigere le fondamenta di una nuova destra nazionale e creare le condizioni finalmente propizie per la costruzione del Ponte. Tutto nasce nel salone delle Bandiere del Comune dove ierio si è celebrato il convegno Dal potere assistenziale alla forza collegiale, organizzato da Federazione nuova destra e AmiAmo Messina, città che risorge.

“Forza collegiale e bene comune sono per noi i primi due elementi che comporranno l’antologia di una nuova politica per il territorio”- ha detto Franco Tiano, portavoce di Fnd, tracciando una stella polare che valica& i confini della Sicilia –.  Lo scopo ultimo è di ripristinare, come rileva Giuggio Armone, di AmiAmo Messina, quello spirito di servizio ormai smarrito. “La cattiva politica e il trasformismo – ricorda Dino Melluso, anch’egli di Fnd – hanno generato la disaffezione degli elettori e l’antipolitica”. “Da qui – tuona Filippo Clementi, sempre della Fnd – vogliamo far rinascere una vera forza di destra nazionale, patriottica e soprattutto sociale. La nostra posizione è stata annacquata per 20 anni, il nostro è l’unico Paese a non avere una vera destra capace di andare avanti. Rischiamo di morire democristiani“, conclude, citando Antonio Ragusa. Proprio commemorando l’ex esponente del Movimento sociale fiamma tricolore, morto nel 2005, e la campagna denigratoria nei suoi confronti, Antonio Vita, di L’Altra Messina, scandisce a chiare lettere come l’Italia sia una dittatura e la disillusione dei giovani, “diventati vecchi per colpa nostra”, l’emblema del suo fallimento. “La politica va rifondata”, conferma, rilanciando l’importanza di realizzare il Ponte sullo Stretto.

Perché la politica, come sostiene Lucrezia Lorenzini, di Italia unica, non può non essere contestualizzata nella realtà economico-sociale, geografica e occupazionale. Proprio l’infrastruttura, uccisa definitivamente da Mario Monti e dal Corrado Passera fondatore di Italia unica, viene vista come l’emblema non solo dello sviluppo futuro dell’intero Stivale, oltre che di Messina, ma anche come il simbolo di un popolo che si riprende la scena. Ne è convinto pure Alessandro Tinaglia, responsabile di Reset, che rispetto alla grande opera rivede le proprie idee: “Si verifichi la fattibilità e la volontà di costruirla da parte del Parlamento. Ma nessuno ci speculi facendo semplice campagna elettorale. O dentro, o fuori. E se non si vuole il Ponte, si stabilisca un’alternativa certa. Serve un cambio di metodo, perché sia la società civile a dire alla politica cosa fare“.

Ferdinando Croce, presidente dell’associazione Vento dello Stretto, partendo dal possibile accordo tra Gianfranco Miccichè e Nello Musumeci in vista delle prossime regionali, sottolinea che prima dei contenitori politici, qualunque nome essi abbiano, vengono i contenuti. Daniele Travisano, consigliere della quarta Circoscrizione, invita i giovani a restare a Messina ma da protagonisti, ristabilendo il contatto con il territorio. Significativo, infine, il contributo di Fernando Rizzo, della Rete civica per le infrastrutture e il Mezzogiorno: “In atto c’è una forma dirazzismo infrastrutturale“, ammonisce, snocciolando alcuni dati per i quali nel 1960 Roma si poteva raggiungere in treno sia da Milano che da Reggio Calabria con tempistiche simili. All’epoca, il Pil pro capite dei siciliani era il quinto d’Italia. Oggi è il penultimo. La Sicilia è la peggiore regione, tra le 260 che compongono l’Europa, in termini di inoccupazione, brillando molto poco anche quanto a sviluppo competitivo.

“Il 35% della spesa pubblica viene fatta da Napoli e Bari in su – prosegue – è lì che inizia il vero nord. Di questi 800 miliardi annui, solo lo 0,5% viene impegnato al sud. Il Ponte si deve fare. Senza questo collegamento ferroviaria con l’Europa saremo tagliati fuori dalla globalizzazione”. Proprio l’infrastruttura è il segno tangibile del razzismo di cui Rizzo parla, facendo presente che tutti i grandi interventi del settentrione, dalla Tav all’Expo – solo per citarne alcuni – sono stati finanziati con le tasse pagate da tutti gli italiani: “Anche da noi. Il ponte, invece, per il 60% sarebbe a carico di investitori privati. Qui in Sicilia, in compenso, con le tasse si pagano 60mila dipendenti pubblici, tra cui 18mila assunti dalla Regione, 1.800 dirigenti della stessa e 24mila forestali. Per pagare questi ultimi, Rosario Crocetta ha disimpegnato 90 milioni di euro dalla Santo Stefano di Camastra – Gela“.

Per Rizzo, il futuro dell’isola “non è la decontribuzione sbandierata trionfalmente dall’onorevoleVincenzo Garofalo, ma la realizzazione di infrastrutture. Il Ponte è l’unica opera dotata di progetto definitivo, quindi immediatamente cantierabile, bloccata in Italia. Non farlo – conclude – è stato un affare sulla pelle dei siciliani“.

Fabio Bonasera

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