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Modifiche Statuto. Le sigle studentesche scrivono al Rettore

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unimeLe sigle associative Andu, Cipur, Conpass, Rete29Aprile, trasmettono una nota al rettore Pietro Navarra e ai componenti degli organi di governo e amministrativi dell’Ateneo, per chiarire la loro posizione in merito alle modifiche allo Statuto proposte dall’Amministrazione.

Ecco la nota:

«L’Assemblea di Ateneo convocata per il 10 Settembre, da noi accolta con entusiasmo come una preziosa opportunità di dialogo, non ci ha dato l’occasione, come avremmo auspicato, di esporre appieno le ragioni per le quali la modifica di Statuto proposta dall’Amministrazione non ci trova d’accordo. Premesso infatti che nella proposta ci è sembrato di cogliere elementi positivi quali l’introduzione di un meccanismo elettivo per la costituzione del Consiglio di Amministrazione e l’inserimento di un articolo che stabilisce limiti alla elettività in caso di condotte che esulano dalla legalità, nel merito delle proposte avanzate restano a nostro avviso delle serie riserve. Se è vero infatti che i segnali cui si è fatto cenno vanno nella giusta direzione, essi nel primo caso appaiono contraddittori rispetto all’impianto complessivo dello Statuto e nel secondo caso si rivelano incapaci di incidere realmente su ciò che a nostro avviso è – e su come vorremmo fosse percepito all’esterno dell’Università – il rigore etico e deontologico e il rispetto della legalità al quale la nostra comunità intende ispirarsi.

Per quanto attiene agli spazi di partecipazione democratica, rileviamo che la modifica che introduce l’eleggibilità del Consiglio di Amministrazione è controbilanciata da un incrementato squilibrio nella rappresentanza tra le fasce in Senato Accademico. Nel dettaglio, infatti, pur costituendo Associati e Ricercatori insieme il 76,4% del corpo accademico, essi sarebbero rappresentati nel nuovo Senato Accademico solo nella misura del 27,3% (contro il 36,4% sancito dalla attuale versione di Statuto). Il dato scorporato per i Ricercatori è ancor più significativo: costoro infatti pur costituendo il 50,4% dell’intero corpo accademico sarebbero rappresentati nella esigua misura del 13,6% (cifra che nella presente composizione del Senato Accademico ammonta al 18,2%). Conti alla mano, posto che non si è ritenuto di allargare la rappresentanza dei lettori e del personale tecnico-amministrativo, lo sbilanciamento nella composizione del Senato Accademico rischierebbe di consegnare la maggioranza assoluta dell’organo di governo ai soli ordinari che ne sono componenti. 

Sempre in merito alla composizione del Senato Accademico, l’idea di attribuire una rappresentanza alle MacroAree non ci appare condivisibile, in quanto non tenendo conto delle specificità di ciascuna Area come invece accadeva in precedenza, andrebbe persa la pluralità di voci ed esperienze che dovrebbero indirizzare l’Ateneo nella direzione di una crescita equilibrata.

Non si capisce poi per quale ragione l’Amministrazione, pur avendo fatto propria con sincero spirito democratico la pratica di eleggere le rappresentanze in Consiglio di Amministrazione, non abbia ritenuto di adottare il medesimo criterio per la costituzione di organi quali il Collegio di Disciplina, il Nucleo di Valutazione, il Presidio di Qualità e il Comitato unico di Garanzia, gangli vitali nelle attività dell’Ateneo.

Ancor meno si comprende, sempre ragionando in termini di democraticità e condivisione dei processi decisionali, come si possa pensare di inserire nello Statuto una norma destinata a stravolgere la fisionomia dell’Ateneo, come quella che impone che il numero di Dipartimenti in nessun caso possa essere superiore a dodici, senza consultare in alcun modo coloro i quali di questa Università rappresentano il cuore. Decisioni di questa portata, che incidono su tutti gli aspetti della vita dell’Ateneo, dalla didattica alla ricerca, dal personale docente alla pianta organica del personale tecnico-amministrativo, avrebbero meritato di essere oggetto di un ampio e articolato confronto tra le componenti tutte dell’Università, che ad oggi è mancato.

In merito ai principi elettorali, il limite alla eleggibilità in caso di condanna con sentenza passata in giudicato ci appare assai timido, specie a fronte della inconferibilità degli incarichi nella Pubblica Amministrazione che la legge Severino sancisce in talune circostanze, anche in caso di soggetti che abbiano subito sentenze di condanna di primo grado. A tale proposito è inevitabile che il nostro pensiero corra ai fatti accaduti nel nostro Ateneo e inevitabile – senza in alcun modo volersi vestire dell’autorità del giudice, che non ci compete – è prendere atto dell’inefficacia dell’articolo 57 introdotto nello Statuto, in base al quale continuerebbero a risultare eleggibili i protagonisti delle vicende incresciose che hanno segnato il nostro passato, pesantemente condannati in primo grado per abuso d’ufficio e concussione per costrizione. Non si tratta, sia chiaro, di venir meno alle garanzie costituzionali che spettano a ciascuno: qui si discute del decoro delle Istituzioni, che ad ogni costo occorrere preservare dal rischio che deriverebbe dalla presenza in posizioni di vertice di soggetti colpiti da condanne, ancorché non definitive, per reati ai danni della Pubblica Amministrazione. Tra le cause di ineleggibilità ci piacerebbe peraltro che fossero incluse anche condanne a pene non detentive per reati di tipo contabile, trattandosi di reati che certo non qualificano coloro i quali se ne fossero resi responsabili come candidati ideali per la rappresentanza della nostra collettività.

L’ultima chiosa la riserviamo alla proposta di eliminazione del parere consultivo del Collegio di Disciplina che renderebbe la sanzione disciplinare della censura di esclusiva (e solitaria) pertinenza del Rettore. Che non si tratti di cosa di poco conto è reso evidente dal fatto che vi è già un precedente di censura irrogata (e successivamente, come si ricorderà, revocata) in violazione alla norma attualmente in vigore, la quale stabilisce che il suddetto parere consultivo è necessario. Preso atto di ciò e tenuto conto che il trasferimento in sede locale dei procedimenti disciplinari è stato e continua ad essere tra i provvedimenti maggiormente contestati della legge 240/2010, a nostro avviso appare del tutto fuori luogo e anacronistica la volontà di concentrare sul Rettore la responsabilità di irrogare la sanzione della censura. Nel merito peraltro, la proposta si configura in netto contrasto con il principio del bilanciamento dei poteri, legittimando il Rettore ad operare in totale discrezionalità nell’irrogare un provvedimento che, pur essendo il minore tra quelli esistenti in termini di gravità, comunque avrebbe l’effetto di costringere il soggetto che si intendesse ingiustamente sanzionato a ricorrere al Tar per fare valere le proprie ragioni. Ancor peggio di quanto previsto dalla legge fascista del 1933, secondo il Ministero implicitamente (sic!) abrogata, che invece consentiva il ricorso (gratuito) al Ministro.

Per concludere, dissentendo dalla proposta di modifica di Statuto formulata dall’Amministrazione per le ragioni che abbiamo qui sintetizzato, ci dichiariamo disponibili al confronto ed essendo fermamente convinti che il presupposto per il dialogo sia l’ascolto, siamo fiduciosi che tale ascolto non ci verrà negato. Nel rivendicare il diritto di essere coinvolti in tutte le decisioni strategiche le cui ricadute siano destinate a segnare irreversibilmente il destino della nostra Università, chiediamo: di poterci esprimere in ordine all’opportunità di portare a 55 il numero minimo di afferenti per Dipartimento; che venga avviata una consultazione referendaria in ordine all’opportunità di inserire nello Statuto il numero massimo di Dipartimenti dell’Ateneo, posto che l’innalzamento del numero di afferenti già di per sé pone un limite alla proliferazione dei Dipartimenti; che tutte le procedure disciplinari siano vagliate dal Collegio di Disciplina e che vi sia trasparenza in merito agli atti ad oggi esitati dal Collegio; che i componenti interni all’Ateneo del Nucleo di Valutazione e i componenti del Collegio di Disciplina, del Presidio di Qualità e del Comitato unico di Garanzia, siano designati per via elettiva; che i principi elettorali vengano rivisti, estendendo l’ineleggibilità a tutti casi in relazione ai quali la legge Severino prevede l’inconferibilità di incarichi; che sia in ogni caso fatto divieto di conferire incarichi di qualsiasi genere a condannati con sentenze definitive a pene anche non detentive per reati contro la Pubblica Amministrazione».

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