“Sogno di una notte di mezza estate” al Vittorio Emanuele: il pubblico diviso tra l’arte di un “grande” e la realtà di un teatro con “grandi” problematiche

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sognoestateNon è semplice ridere, giocare sul palco del Teatro Vittorio Emanuele, cornice e contesto negli ultimi tempi di tanti dissapori, di poche certezze e di numerosi destini abbandonati a un punto interrogativo al quale ancora nessuno sa dare risposte concrete. Tensioni che si palesavano tangibili già ieri sera  fuori dalle mura del Teatro, dove alcuni rappresentati dei lavoratori erano impegnati a distribuire al pubblico, che si affrettava a partecipare alla prima di “Sogno di una notte di mezza estate” — con la quale veniva inaugurato il cartellone di prosa —, volantini nei quali si elencavano le rivendicazioni dei dipendenti, da mesi privi di stipendio. Uno di loro, prima dell’inizio della rappresentazione, è salito sul palco e ha esposto tutte le problematiche che affliggono la gestione di un teatro che, in Sicilia più di altri, ha subito, negli anni, crescenti depauperamenti sia economici che strutturali. Poi le luci si sono spente e, grazie alla rappresentazione del sogno Shakespeariano, il teatro ha respirato, si è ossigenato e ha continuato a sperare e sognare che qualcosa possa cambiare, così come nella commedia dell’autore di Stratford,  nella quale  dopo tanti pasticci, imbrogli, incantesimi, tutto viene ripristinato e ritrova un nuovo ordine. Nessun’altra opera poteva meglio essere metafora dell’attuale situazione di un teatro dove, come nelle pagine di Shakespeare, coesistono diverse parti in gioco, che traduce la composizione dialettica degli attori principali dell’attuale querelle del Teatro di Messina. Esiste la Casta che tutto determina e tutto racchiude, la figura di Bottom (Leo Gullotta) con la Testa d’Asino, in rappresentanza del mondo degli artigiani che è la forza lavoro, il motore della società, e Puck (il diavoletto) che  dipinge il segreto dell’animo dell’Uomo con le sue passioni e le sue stravaganze. Tocca quindi a Shakespeare, celeberrimo autore le cui origini sembrano essere messinesi, e a Leo Gullotta, siciliano reduce dai successi pirandelliani e delle Allegre Comari di Windsor, portare in scena una commedia dal sapore agrodolce. Leo Gullotta è Alfio Anfuso, detto Bottom, che in dialetto catanese colora di simpatia l’allegra brigata degli artigiani. Con le movenze e gli acuti della signora Leonida, indimenticabile personaggio del Bagaglino, Gullotta stravolge la lingua alta di Shakespeare trasformandola in parodia e farsa, grazie anche all’adattamento dei registi Fabio Grossi e Simonetta Traversetti. Così “cosmopolita” diventa “ni pulemu da matina a sira”, il dolce effluvio si trasforma in pediluvio e via dicendo. La celebre commedia racconta, su diversi piani, i giochi amorosi tra due coppie e gli scambi dovuti a erbe magiche degli elfi, del mondo delle fate e di artigiani, che metteranno in scena davanti ai potenti una scombinata tragedia. Al termine della rappresentazione Gullotta si spoglia improvvisamente dei panni da “buzzurro” e, con toni seri e drammatici, spiega che «noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni», un sogno nel quale «gli è sembrato di essere, gli è sembrato di avere… ». L’opera si conclude, infine, con Puck che entra in scena rivolgendosi al pubblico, dicendo che se lo spettacolo non è piaciuto può far finta di aver dormito e di aver sognato quella recita, prodotto dei sogni. Anche qui è d’obbligo un parallelismo: auspichiamo che il futuro del Teatro Vittorio Emanuele e dei suoi dipendenti non si trasformi in un incubo e che la città di Messina possa svegliarsi presto da questo brutto sogno di precarietà e dissesto economico, che sta facendo vacillare ogni punto di riferimento personale e culturale.

Marcella Fontana

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