Compravendita test ed esami universitari: in appello un’assoluzione e pene ridotte

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Appello, oggi, per i 6 imputati del processo scaturito dalla operazione Campus. Già nel maggio 2015 era caduta l’accusa di associazione a delinquere e l’aggravante mafiosa per i quattro maggiori imputati del processo: Marcello Caratozzolo, Santo Galati Rando, Domenico Antonio Montagnese e Salvatore d’Arrigo, oggi, per loro e per Alessandra Taglieri e Massimo Pannacci, si registra un’assoluzione e un notevole ridimensionamento delle pene inflitte in primo grado.

L’operazione Campus, scattata nel luglio 2013, portò alla luce manipolazioni esterne nelle prove di ammissione alle facoltà a numero chiuso ( Medicina) e agli esami universitari. Anche infiltrazioni della ndrangheta.

L’accusa non ebbe dubbi: tirava le fila di tutto, Domenico Antonio Montagnese, 50enne che dalla provincia di Vibo Valentia si era trasferito a Messina, e a Messina aveva trovato il suo “paradiso personale”.
Ritenuto collegato alle cosche della ‘ndrangheta ed organizzatore e promotore dei presunti illeciti, Montagnese fu condannato lo scorso anno a 10 anni e mezzo, oggi in appello ad 8 anni.

Contro i 2 anni e 8 mesi inflitti in primo grado a Marcello Caratozzolo,oggi la pena è stata ridotta ad un anno e mezzo, con la sospensione. Caratozzolo è il docente di Economia che l’accusa, al tempo, ritenne complice interno al più grosso tra i canali di guadagno per il calabrese Montagnese: l’Università di Messina. Per l’accusa era Caratozzolo a creare la rete di contatti utili al superamento dei test di ammissione a Medicina, di esami universitari o quelli per divenire dottore commercialista.

Piena assoluzione, invece, in appello per Santo Galati Rando, ex consigliere provinciale già titolare di alcuni istituti scolastici privati. In primo grado era stato condannato ad un anno e 4 mesi.

Due anni e 8 mesi a Massimo Pannaci ( erano 5 in primo grado); 8 mesi per Alessandra Taglieri ( 1 anno in primo grado); confermati, invece, i 3 anni e 8 mesi a Salvatore d’Arrigo.

L’operazione Campus, nel 2013, svelò il potere di un uomo, Montagnese, i suoi intrecci, le sue complicità eccellenti, i suoi diversi metodi di approccio con vittime e sodali. Anche amicizie nelle segreterie – sostenne l’accusa -facilitavano il “sistema Montagnese”.

La somma che lo studente con ansie da esame o, peggio, ignorante, sborsava, era buona per la spartizione tra le varie figure che allestivano la “commedia universitaria”: dai 25mila ai 50mila euro. Ma Montagnese- dissero gli inquirenti – spaziava nella ‘babba Messina’.

Dallo studente incompreso o “capra”, passava all’aspirante ufficiale di macchina cui una raccomandazione alla Capitaneria di porto di Palermo costava 2000 euro. A pensarci- scriveva il Pm- un grosso avvocato che vantava amicizie nel capoluogo. O ancora toccava il campo dell’usura.

Per l’accusa, dunque, il calabrese trapiantato a Messina aveva esteso il proprio potere su vari campi. La sua forza intimidatoria era il vantato collegamento con la cosca del suo paese. Ma l’altra forza, quella che aveva attecchito maggiormente, è stata la rete di eccellenti complicità.

Oggi, per i 6 imputati è arrivata la sentenza di secondo grado. Hanno difeso gli avvocati Bonni Candido, Giuseppe Lo Presti, Rosario Scarfó

Patrizia Vita

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