Chiude lo storico Ignatianum. Cancellata la presenza dei Gesuiti a Messina. La lettera di Antonio Mantineo, docente di Diritto canonico ed ecclesiastico

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istituto ignatianumA Sua Eccellenza Mons. Calogero La Piana

Al Provinciale dei Gesuiti in Italia

Meno grave rispetto al dramma vissuto dalle famiglie dei senza lavoro, di coloro che attendono uno stipendio da mesi, e sono tanti, di quella dei nostri giovani che ogni mese lasciano la città, nuovi emigranti, per sempre, cercando altrove prospettive migliori che qui non hanno trovato. Eppure, tra questi drammi appena richiamati, che fanno apparire la nostra città senza futuro, si consumano, in modo ancor più silenzioso altri e gravi traumi: quelli che ci fanno perdere memoria del passato della “gloriosissima Messina” , delle presenze che l’hanno resa tra le più belle, città aperta agli scambi, alle relazioni culturali e commerciali in tutto il Mediterraneo. Ci riferiamo al cupo silenzio con il quale si è consumata la chiusura dell’Ignatianum e la partenza degli ultimi vecchi, ma tenaci testimoni della presenza dei gesuiti in città.

Risale al 1548 la fondazione del Collegio dei Gesuiti, detto  Primum ac prototypum collegium societatis Jesu, in quanto indicato come modello per tutte le strutture educative che l’ordine ha fondato nei diversi  continenti, rispondendo ad un carisma tipico nella Chiesa. Il Collegio, voluto  dallo stesso Ignazio di Loyola, per accogliere la richiesta avanzata dal senato cittadino allo stesso fondatore della Compagnia, si proponeva dalla sua fondazione come  istituzione deputata  a formare una generazione  in grado di assumere tutte le più alte responsabilità civili e religiose.

Pietro Canisio,  tra i primi a diventare gesuita, invitato dallo stesso  Ignazio di Loyola a sostenere la nascita del Collegio a Messina, scriveva in una lettera ad alcuni fratelli, a proposito di quel collegio: “Di questi vantaggi vogliono i messinesi si tenga molto conto; vedono, infatti, chiaramente che dalla buona istruzione dei fanciulli, non solo ne avrà bene e decoro questa città, ma ne proverà, altresì, in non minima parte, la salute di tutto il vicereame”. Dopo la sua edificazione, il Collegio divenne Messanense Studium generale, cioè sede della prima Università di Messina.  È bene sottolineare, ancora, che quel collegio fu il primo esperimento in Europa di università collegiata, istituto proposto alla formazione religiosa dei laici, voluta dai gesuiti ma sostenuta dall’élite cittadina, dai Vicerè e persino da Papa Paolo III che nell’occasione emise la bolla “Copiosus in misericordia Dominus”, necessaria per l’istituzione dello Studium. Ancora nel novecento, dopo il tragico terremoto del 1908, dall’originario Collegio si progettano e nascono due istituti: il primo è il nuovo Collegio di Sant’Ignazio di Piazza Cairoli, destinato alla formazione solo dei laici, abbattuto negli anni sessanta per un’operazione immobiliare speculativa; il secondo, l’Istituto Ignatianum per formare agli studi filosofico-teologici, inizialmente solo  i gesuiti ed, in seguito, alla fine degli anni sessanta del secolo scorso, per formare agli studi teologici e alle scienze religiose e sociali religiosi, presbiteri e laici, diventando un’istituzione di prestigio, collegata agli Istituti teologici del meridione e all’Università Gregoriana di Roma. È il caso di rilevare, e non appaia elemento secondario anche per le riflessioni che svolgiamo,  che l’Istituto rifondato dopo il terremoto, per volontà del vescovo Paino, rimase – da lì e fino ad oggi – nella proprietà della Curia di Messina. Nelle  scuole superiori dell’Ignatianum si sono formati coloro che nel novecento hanno costituito la classe dirigente messinese, ma anche tanti giovani, appartenenti alle diverse classi sociali, accomunati dalla volontà di una formazione negli studi di alto profilo, come quella che per tanto tempo veniva garantita, orientata alla formazione integrale dell’uomo e del cristiano.

Per rompere il silenzio “assordante” della città, e anche delle comunità di credenti, su tutta la vicenda, ci vogliamo chiedere: quali sono i motivi per i quali la stessa Compagnia ha deciso di chiudere e per sempre l’Istituto? Come mai la stessa Chiesa di Messina, con il suo Arcivescovo hanno lasciato che i gesuiti si partissero dalla città, lasciando pochi anziani gesuiti? E adesso che anche i gesuiti malati, fino a pochi giorni fa, ricoverati nell’infermeria attrezzata, sono stati trasferiti, trattati come esuberi, ci chiediamo cosa ne sarà di quel grande Istituto?

Ci chiediamo allora: cosa si poteva e doveva fare per evitare che i Gesuiti lasciassero la nostra città; cosa si doveva fare per garantire ai pochi che sono rimasti, tre, uno spazio che li ospitasse per l’opera preziosa di formazione e testimonianza cristiana che rendono a tanti messinesi e non solo, visto che i nostri gesuiti sono apprezzati dalla Chiesa italiana e da tante comunità sparse in tutto il Paese, per la loro preziosa scienza teologica, ma anche per la loro delicatissima e tenera  umanità?

Torniamo al presente, preoccupati come siamo di comprendere cosa potrà accadere dell’Ignatianum, una volta che i gesuiti non ci sono più.

Apprendiamo dell’iniziativa assunta, già un anno fa,  da mons. La Piana di richiedere l’istituzione di Corsi di laurea dell’Università Cattolica di Milano (vedasi Bollettino diocesano 2012). Questa iniziativa anche se lodevole nelle intenzioni, non rende giustizia dell’abbandono dei gesuiti al loro destino, nel senso che non necessitava la loro partenza perché la Curia di Messina avvertisse la necessità di radicare un’istituzione universitaria confessionale negli stessi  locali di cui rimane proprietaria e che erano nella disponibilità della Compagnia di Gesù. Se anche la loro presenza fosse sostituita da quella dell’Università del Sacro Cuore di Milano, non si giustifica un prezzo così alto pagato dall’ultimo nucleo di gesuiti in città. Osserviamo, quasi per assonanza,  che un altro istituto religioso, quello dei rogazionisti di Cristo Re, da alcuni anni ospita un’Università telematica, che rilascia, dietro costi elevatissimi per le famiglie, titoli di studio, aventi valore legale. L’uso di istituti ed immobili appartenenti ad enti ed istituzioni ecclesiastiche per ad attività diverse (da quelle di religione e di culto, ex art. 16, legge n. 222 del 1985), può compromettere l’identità ed i fini propri di un ente religioso. Ed è il caso delle attività svolte di già presso i rogazionisti, ma anche di quelle avviate presso l’Ignatianum da parte di una cooperativa che, il giorno dopo la partenza dei gesuiti, si è insediata negli stessi locali per  gestire servizi di assistenza. Cosa ancor più grave se quei locali, ove pur hanno operato per alcuni decenni gli stessi gesuiti, si avviassero ad ospitare, anche se “per problemi di bilancio” attività di tipo commerciale (supermarket, alloggi, o che altro?).

Nella nostra città soporifera e sciroccosa altri ordini religiosi, nel silenzio generale, sono andati via da alcuni anni e altri hanno programmato la loro partenza. Abbiamo già sofferto per la partenza dei comboniani, e siamo preoccupati per quella più che ventilata dei domenicani o dei carmelitani. Ritengo che la partenza di ordini religiosi non impoverisca solo il tessuto religioso  della Chiesa locale ma, altresì, ne soffra lo stesso tessuto civile. O, forse, anche queste partenze sono indice, un altro e grave, come indicato in premessa, del declino, quasi ineluttabile che ha investito la nostra comunità e le istituzioni civili e religiose. Eppure, vogliamo e dobbiamo credere che i semi sparsi del Vangelo dai gesuiti che nella nostra città possano anche germogliare frutti ed esperienze autentiche di rinnovamento e di speranza. Anche per questo, pur se un po’ disorientati e più soli, sentiamo che anche attraverso le piccole comunità di cristiani che si incontrano nella nostra città, come in tante altre in Italia, si debba proseguire e raccogliere il testimone del messaggio di Ignazio, che è la di impegno culturale e cristiano.

         

Antonino Mantineo, professore ordinario di Diritto canonico ed ecclesiastico Università Magna Graecia

 

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  1. Come messinese non posso che provare lo stesso sentimento espresso dall’autore dell’articolo. Io sono fra quelli che pur essendo andato via da Messina per ragioni di lavoro, ho visto gradualmente dal 1966 in avanti la mia città gradualmente morire. Quanti giovani di allora hanno fruito dell’insegnamento filosofico e teologico nonchè filologico dei Padri Gesuiti i quali erano sempre disponibili a placare la loro sete di conoscenza e di formazione spirituale.
    Fra l’altro il pensiero che la cappella dell’Ignatianum dove io mi sono sposato 50 anni fa con
    l’organo suonato da P. Marzo e celebrata da Padre I. Sferrazza forse potrebbe non essere luogo di culto domani oltre a darmi un senso di tristezza profonda fino al pianto è il segno di una volontà diretta a cancellare la memoria del passato.

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