giornalismo

Università. Seminari di giornalismo: cosa dicono gli esperti?

Pubblicato il alle

7' min di lettura

giornalismoSi è concluso, ieri mattina, il ciclo di seminari dedicati al giornalismo nell’ambito del Corso di Comunicazione Pubblica e Gestione degli Uffici Stampa del Corso di Laurea Magistrale Metodi e Linguaggi del Giornalismo. “L’informazione, dall’analogico al digitale” è stato il tema trattato durante gli incontri coordinati dal professor Francesco Pira, delegato alla Comunicazione e docente di Comunicazione pubblica e Gestione degli Uffici Stampa.

Quattro appuntamenti che hanno visto la partecipazione, in qualità di relatori, di grandi esponenti del giornalismo italiano: Antonio Troiano, responsabile della Redazione Cultura del Corriere della Sera e dell’inserto domenicale La Lettura; Antonio Morra, responsabile della Segreteria di Direzione del Corriere della Sera; Giovanni Iozzia, giornalista esperto di nuove tecnologie; Carlo Parisi, segretario del Sindacato Giornalisti Calabresi, segretario aggiunto della Federazione Nazionale della Stampa e consigliere di amministrazione dell’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti (Inpgi). I seminari si sono svolti nell’Accademia Peloritana dei Pericolanti, recentemente ristrutturata, ad eccezione dell’ultimo che, in occasione dell’esercitazione della Protezione Civile per la “Settimana della Sicurezza”, si è tenuto nell’Aula Magna del Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne (ex Facoltà di Lettere).

Carlo Parisi, che ha chiuso il ciclo dei seminari, nell’affrontare il tema della trasformazione in atto nel mondo della comunicazione, ha sottolineato l’importanza che ancora ricopre la figura del giornalista se accompagnata da professionalità e preparazione. La sfida che si presenta ai giornali, siano essi cartacei che online, è quella di acquisire credibilità offrendo come garanzia un servizio di qualità ai lettori. Fulcro del suo intervento è stato il concetto di libertà di stampa e libertà di pensiero del professionista dell’informazione. Quest’ultima realizzabile solo tramite l’emancipazione dal “bisogno” e dall’ignoranza. La pratica giornalistica, quella vera — ha insistito Parisi —, non si esaurisce nel rispetto dell’articolo 21 della Costituzione, che riconosce il diritto di ciascuno di «manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, e ogni altro mezzo di diffusione», ma si articola anche nel significato stesso della professione del giornalista. Da ciò scaturisce la differenza tra i blog e le testate online e cartacee — sebbene queste ultime considerate da lui più autorevoli —, tra libertà di espressione e verifica vincolante delle fonti. Nonostante la presenza sempre più “invadente” della tecnologia, Parisi ha spezzato una lancia a favore dei giornali cartacei, affermando che in Italia lo sviluppo del web non è ancora entrato pienamente a far parte del quotidiano. La corretta padronanza della tecnologie — ha evidenziato — non fa il buon giornalista.

Un buon giornalista, infatti, rimane colui che è in grado di raccontare le persone e i fatti — così come ha spiegato Morra. «Non è bravo chi si limita ad ascoltare due campane e a scrivere il pezzo — ha detto quest’ultimo — ma chi, dopo aver raccolto le dichiarazioni, approfondisce i vari aspetti della vicenda cercando di ricostruirla». Un altro inevitabile dovere del professionista dell’informazione è quello di mettere a confronto, ogni mattina, le notizie riportate da diverse testate, a carattere locale e nazionale, per essere in grado di affrontare un dibattito. I relatori intervenuti si sono soffermati, in modo particolare,  sull’importanza di questo punto e della fondamentale gerarchizzazione della notizia, che deve essere sempre selezionata e verificata.

Nel suo intervento, invece, Iozzia — penna di Chi, Panorama Economy, Capital, Corriere della Comunicazioni, Libero, Panorama —,  si è soffermato sulle nuove tecnologie: «Nel 2010 — ha detto —, negli Usa, i lettori dei giornali online hanno superato quelli del cartaceo. I passaggi fondamentali della comunicazione sono stati due: dall’oralità alla scrittura e dalla scrittura all’online». L’affermarsi della tecnologia ha cambiato le basi produttive dell’informazione e la sua natura, ha avuto effetti significativi anche sulla professione del giornalista producendo un cambio del rapporto con i lettori: non più semplici destinatari del processo di comunicazione ma a loro volta fonti; aumento della responsabilità; aumento della qualità; aumento della misurabilità (conoscenza immediata del numero di lettori). Iozzia ha fatto anche un distinguo importante tra crisi della stampa e informazione. Se la crisi della stampa è inevitabilmente legata a quella del settore editoriale — manifestazione temporale di un sistema produttivo —, non è possibile arrestare l’informazione, che potrebbe fare a meno della stampa ma non dei giornalisti. Su questo punto ha introdotto anche l’esempio dell’ “editore improprio” come nuova realtà comunicativa (Steve Jobbs, Google, Facebook). Rimane il fatto che il giornalista deve essere in grado di raccontare delle storie e produrre informazione di qualità, prestando attenzione alla verità delle fonti.

Il più “appassionato” degli interventi è stato quello di Troiano. Il responsabile del supplemento domenicale La Lettura si è pronunciato a favore della necessità di avere passione per svolgere al meglio questo lavoro, senza mai dimenticare di essere al servizio dei lettori. Nella sua evoluzione dalla Terza pagina alle pagine culturali, la cultura ha modificato la sua impostazione granitica — riservata soltanto ai grandi scrittori e letterati — , trasformandosi in uno spazio aperto — giornalisti e autori vari con idee e contenuti da veicolare. Come ogni rivoluzione, anche questa ha richiesto tempo per essere “assorbita”. E a chi dava per spacciate le pagine culturali, rispondono le vendite domenicali del Corriere: con l’inserto si vendono 28.000 copie in più del giornale. Come per ogni cosa, anche in questo ambito il valore è dato dalla riconoscibilità del valore stesso, di contro alla gratuità.

Ma l’aspetto più interessante del suo intervento ha riguardato la distinzione tra la semplice comprensione di un contenuto e una lettura attenta (interpretazione) che determina la capacità di cogliere in un testo ciò che è fondamentale. L’incapacità di comprendere è, infatti, l’analfabetismo moderno. Il giornalista — hanno messo in evidenza Troiano e Parisi — non fa cultura ma informa e/o fa le pagine culturali. Essendo al servizio del lettore deve utilizzare un linguaggio semplice e diretto, perché come diceva Enzo Biagi: «È necessario farsi capire da tutti, dallo studente al professore, dal fruttivendolo all’intellettuale».

Tirando le somme, si capisce quali siano ancora i punti fermi di una professione che ha subìto nel tempo grandi trasformazioni, conservando però quelli che sono gli elementi fondamentali che fanno di un giornalista un buon professionista della notizia.

Giusy Gerace

(132)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Contenuto protetto.